I DIRITTI DEI PARTECIPANTI SULLE PARTI COMUNI, LA MODIFICA E LA TUTELA DELLE DESTINAZIONI D’USO, LE INNOVAZIONI.
Il condominio è una figura peculiare di comunione forzosa che, in quanto tale, dipende dalla legge e non può sciogliersi se non in casi molto rari.
Per la sua costituzione non è necessario alcun atto formale o delibera assembleare: il condominio nasce automaticamente col frazionamento della proprietà dell’edificio, nel momento in cui il costruttore inizia a vendere le unità immobiliari. Difatti, chi acquista un’unità immobiliare all’interno di un edificio o di un gruppo di edifici diventa al contempo comproprietario delle parti comuni inerenti allo stesso edificio o gruppo di edifici; ed è proprio la comproprietà sulle parti comuni l’essenza stessa del condominio.
Le parti comuni sono infatti, per loro natura, destinate al servizio di più unità immobiliari e la loro gestione rappresenta l’elemento su cui si fonda tutta la normativa sul condominio.
Le parti comuni dell’edificio
I diritti dei partecipanti sulle cose comuni
La modifica delle destinazioni d’uso
La tutela delle destinazioni d’uso
Le innovazioni
Lo scioglimento del condominio
LE PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO
(Riferimenti normativi: Cod. civ. artt. 1117, 1119, 1123)
Ai sensi dell’art 1117 c.c., sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condòmini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
Si tratta di un’elencazione non tassativa: un condominio, infatti, può avere beni comuni non indicati nell’art. 1117 oppure può avere beni, tra quelli elencati, la cui proprietà non è comune ma esclusiva di un singolo condomino o di un altro soggetto (ad esempio, il costruttore). La presunzione di comunione sui beni elencati viene meno in presenza di un titolo contrario; pertanto, un bene non è oggetto di proprietà comune dei condòmini se gli atti originari di trasferimento della proprietà o il regolamento di condominio riservano la proprietà del bene ad un determinato soggetto.
Può inoltre accadere che determinati beni, per loro natura, siano destinati a servire solo un gruppo di condòmini; in tal caso i beni si presumono di proprietà comune ai soli condòmini che ne traggono utilità (cosiddetto condominio parziario ex art. 1123 c.c.). È il caso, ad esempio, di un edificio che abbia più scale o più ascensori, comuni ai soli proprietari delle unità immobiliari servite dagli stessi.
Le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio.
⇒Approfondimento: Balconi aggettanti: parti comuni o proprietà esclusiva?
I DIRITTI DEI PARTECIPANTI SULLE COSE COMUNI
(Riferimenti normativi: Cod. civ. artt. 1102, 1118)
Ciascun condomino può servirsi della cosa comune e può apportare a proprie spese le modifiche necessarie a rendere più agevole il godimento della stessa, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene (art. 1118 c.c., comma 1). È bene precisare, tuttavia, che l’oggetto del diritto di ciascun condomino è il bene comune nella sua interezza mentre la quota millesimale rappresenta esclusivamente la misura del diritto/dovere di partecipazione alla gestione e alle spese.
Il condomino non può rinunziare al suo diritto di proprietà sulle parti comuni e, di conseguenza, non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni a meno che ciò avvenga con il consenso di tutti gli altri condòmini e mediante trascrizione nei pubblici registri immobiliari.
Il condomino può invece rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini; in tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma (ex art. 1118 c.c., comma 4), mentre non deve contribuire alle spese di esercizio dell’impianto (ad esempio, il gasolio). Non si esclude che lo stesso principio possa applicarsi, per analogia, ad altri beni comuni.
LA MODIFICA DELLE DESTINAZIONI D’USO
(Riferimenti normativi: Cod. civ. artt. 1117 ter, 1117 quater)
La riforma del condominio, con l’art. 1117 ter c.c., disciplina specificatamente la facoltà dell’assemblea di modificare la destinazione d’uso di un bene comune al fine di “soddisfare esigenze di interesse condominiale”. Ci si riferisce alle modifiche che comportano un uso del bene totalmente diverso dalla sua originaria destinazione e, quindi, tali da impedirne l’utilizzazione secondo la precedente modalità d’uso; tali modifiche, talvolta, comportano una trasformazione del bene anche dal punto di vista strutturale. Si pensi, ad esempio, alla realizzazione di un parcheggio in un’area verde comune adibita a parco giochi per bambini.
L’art. 1117 ter prescrive un quorum deliberativo elevatissimo e una procedura di convocazione assai gravosa, tali da rendere la modifica della destinazione d’uso una possibilità assai remota. Analizziamo nel prosieguo le regole procedurali per la validità della delibera.
- La convocazione dell’assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati.
- La convocazione di assemblea deve pervenire almeno venti giorni prima della data della riunione.
- La convocazione dell’assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso.
- La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti relativi alla procedura di convocazione.
- La delibera deve essere approvata con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio (800 millesimi).
L’assemblea non può deliberare modificazioni delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico.
LA TUTELA DELLE DESTINAZIONI D’USO
(Riferimenti normativi: Cod. civ. artt. 1102, 1117 quater)
L’art. 1117 quater recita: “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condòmini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136”.
La tutela garantita dall’articolo summenzionato si estende a qualunque attività che incide negativamente sul diritto di godimento dei singoli condòmini; pertanto, non ci si riferisce alle sole attività che comportano una modifica della destinazione d’uso illegittima ma anche a quelle attività che impediscono ai singoli condòmini di fare uso del bene comune secondo la sua destinazione.
Ciascun condomino ha diritto di agire anche in giudizio per la tutela dei beni comuni (v. Cass. 6 ottobre 2014 n. 20990).
LE INNOVAZIONI
(Riferimenti normativi: Cod. civ. artt. 1120, 1121)
Per innovazione si intende qualunque modifica delle parti comuni che ne altera l’entità sostanziale o la destinazione originaria; non rientrano, quindi, nel concetto di innovazione le modificazioni della cosa comune ex art. 1102 c.c. e le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, in quanto non comportano alcuna trasformazione rilevante del bene nella forma e nella destinazione.
Possiamo distinguere le innovazioni in lecite, vietate, gravose e voluttuarie.
Sono lecite le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni; possono essere deliberate dall’assemblea con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136 (maggioranza intervenuti + 667 millesimi).
È sufficiente, invece, la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 (maggioranza intervenuti + 500 millesimi), per disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, nonché per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;
3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condòmini di farne uso secondo il loro diritto.
L’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui ai punti 1), 2) e 3). La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni.
La delibera adottata dalla maggioranza vincola la minoranza dissenziente obbligandola a contribuire alla spesa.
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Sono gravose le innovazioni che comportano una spesa molto onerosa, voluttuarie quelle che non hanno alcuna utilità effettiva; il carattere gravoso o voluttuario deve essere valutato in relazione alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio e non alle condizioni soggettive dei singoli condòmini e alle loro possibilità di spesa.
Quando un’innovazione gravosa o voluttuaria consiste in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condòmini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa. Tuttavia, i condòmini dissenzienti e i loro eredi o aventi causa possono, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo pro quota alle spese di realizzazione e di manutenzione dell’opera; nel calcolo dell’importo da corrispondere bisogna considerare il valore attuale della moneta ed eventuali deterioramenti subiti dall’opera.
Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condòmini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
LO SCIOGLIMENTO DEL CONDOMINIO
(Riferimenti normativi: Disp. att. cod. civ. artt. 61, 62)
Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato.
Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 del codice (maggioranza intervenuti + 500 millesimi) o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione.
Lo scioglimento è possibile anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’articolo 1117 c.c.
Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condòmini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’articolo 1136 del codice stesso (maggioranza intervenuti + 667 millesimi).